Sol Trujillo torna in pista per Telecom Italia. L' ex manager di AT&T ed ex ceo dell’australiana Telstra, non si sarebbe fatto scoraggiare dalle tiepide risposte e dalle prese di distanza che il suo giro estivo nei palazzi romani aveva raccolto. In Telecom nessuno l' ha visto. Perlomeno, a settembre il residente Giuseppe Recchi aveva detto tranchant:
«Non ci ha mai chiamato. Per me non esiste. Non abbiamo contatti». Eppure a Roma Trujillo aveva bussato a molte porte. Il presidente di Cdp, Franco Bassanini, sempre a fine settembre, aveva ammesso di averlo incontrato: «L' ho visto alcuni mesi fa, ma quando ho capito che il tema era quello, gli ho detto che aveva sbagliato indirizzo, perchè noi non siamo azionisti di Telecom Italia». Anche Raffaele Tiscar, vicesegretario generale alla presidenza del Consiglio, aveva confermato di aver incontrato il manager americano: «Ha un curriculum di tutto rispetto. Mi ha illustrato le sue idee».
Il vice ministro per le Comunicazioni Antonello Giacomelli aveva invece negato di «aver mai partecipato a riunioni operative di questo tipo perché sono determinato a rispettare uno spazio che compete a soggetti privati anche se, come Governo, saremo altrettanto determinati a utilizzare i nostri poteri se ritenessimo che ce ne fosse bisogno».
Ma perchè il manager, con aspirazioni da finanziere, avrebbe dovuto battere anzitutto gli ambienti governativi, o comunque esponenti di spicco del settore pubblico per approcciare una società privata?
Perchè Trujillo aveva ipotizzato più di una semplice collaborazione pubblicoprivato per Telecom Italia (il trasferimento di tutta la rete fissa allo Stato) e non avrebbe perciò mai potuto andare avanti senza il sì del Governo di Roma. Il piano, riassunto in un documento “personale e confidenziale” che porta la data del 2 agosto, sarebbe stato confezionato con la collaborazione di Francesco Sacco, docente Bocconi, uno dei tre saggi chiamati ad affiancare Francesco Caio per dare impulso all' Agenda digitale sotto il precedente Governo Letta e tuttora consulente governativo: il suo nome compare tra i collaboratori del piano banda ultralarga presentato martedì dal Consiglio dei ministri.
La filosofia di base era mettere insieme un «team di esperti del settore e di investitori a lungo termine», per un «progetto industriale di management buyin» finalizzato al «turnaround di Telecom Italia» e a «rafforzare Tim Brasil, anzichè farla a pezzi». Sol Trujillo si proponeva ovviamente per il ruolo di ceo della compagnia italiana, per «lavorare in partnership col Governo e le istituzioni pubbliche», in modo da «realizzare le ambizioni del Paese nel campo dell’information and communication technology».
Sotto il profilo finanziario, la conquista di Telecom prevedeva tre step. Il primo: ottenere sufficienti voti per forzare un cambio del management, rilevando una quota intorno al 20% di Telecom. Chi avrebbe dovuto mettere il quattrino?
Fondi sovrani sovrani e investitori a lungo termine che, si legge nel documento del piano di agosto, avrebbero gradito la partecipazione di un’affidabile istituzione finanziaria italiana citando espressamente Cdp e il suo Fondo strategico con l’apporto di un “chip” dell’ordine di mezzo miliardo.
Il secondo step: promuovere un aumento di capitale in Telecom per raccogliere 2, 53, 5 miliardi, da destinare allo sviluppo di nuove infrastrutture e servizi e a migliorare e ampliare la rete di distribuzione. Gli investitori portati da Trujillo avrebbero messo sul piatto 1, 52, 5 miliardi con focus sugli investimenti nella telefonia mobile.
Secondo il piano, un altro miliardo sarebbe dovuto arrivare da un gruppo di investitori italiani guidati sempre da un’istituzione come Cdp con focus sulla rete fissa. Corollario di questo secondo punto: comprare una quota in Metroweb, lanciare un piano per la rete in fibra ottica, per poi trasferire la rete in una “NetCo”, appunto una nuova società per l’infrastuttura di tlc.
Terzo step: creare entro un anno dall’ingresso del nuovo management la società della rete, con un perimetro molto più ampio di quello discusso in passato tra Telecom e Cdp, quando si parlava di scorporare la sola rete d’accesso. Infatti oltre alla parte finale dell’infrastruttura, il piano di Trujillo prevedeva il trasferimento di tutte le componenti non necessarie a gestire la rete mobile. Con un colpo di scena sul controllo: la rete fissa, sempre dichiarata strategica dalla compagnia tricolore sotto tutte le gestioni manageriali dell’era privata, sarebbe andata al 51% all’istituzione italiana,
ipotizzata nella Cdp, mentre Telecom si sarebbe dovuta accontentare del 49%. Dal trasferiment di asset e dal contratto di fornitura con Telecom, la Netco avrebbe dovuto generare abbastanza cassa da rimborsare il debito che le sarebbe stato trasferito da Telecom e che il piano quantificava in 19 miliardi. Sulla NetCo ci sarebbe stata la golden share dello Stato, con la possibilità di rilevare il 100% della società della rete in ogni momento. Naturalmente, sottolineava il documento, è importante che il regolatore non persegua una politica di ulteriore riduzione delle tariffe all’ingrosso sulla rete fissa (quelle cioè applicate agli operatori di tlc che utilizzano il network per rivendere i servizi di telefonia ai loro clienti) nè rame, nè fibra dal momento che queste sarebbero la fonte di entrate principale per la nuova società della rete.
Un piano, quello del manager americano, da realizzare in tre anni tempo breve anche per un private equity con tre vie d’uscita prospettate: la cessione delle azioni sul mercato, per realizzare una vera public company; la vendita della quota di riferimento a un «investitore strategico» (un altro gruppo di tlc?), lasciando all’istituzione italiana identificata nella Cdp il diritto di veto a fronte dell’ingresso di investitori non graditi; formare una partnership per espandere
l’attività «in Africa o nell’Est Europa/Medio Oriente».
Ad agosto il piano non era andato da nessuna parte a Roma, oggi evidentemente con qualche necessario aggiustamento il dossier è stato proposto ai fondi di private equity (si veda il pezzo accanto), ma ancora, pare, con poche chance di sfondare. |